martedì 8 maggio 2012

LA SERBIA DOPO IL VOTO DEL 6 MAGGIO

L'ennesima sfida presidenziale tra Tadic e Nikolic, gli ultranazionalisti fuori dal parlamento, il Partito socialista come ago della bilancia e il suo leader, Ivica Dacic, che si candida come premier: si può sintetizzare così il risultato delle elezioni tenutesi in Serbia domenica 6 maggio. Un test politico cruciale, visto che in solo giorno si votata per il rinnovo del parlamento, per le amministrazioni locali e per l'elezione del capo dello Stato. E che, nonostante il disinteresse dei media e di molti politici europei, “distratti” dalle presidenziali francesi e dal voto in Grecia, invia un segnale molto importante sul prossimo futuro della Serbia. Un futuro che a noi italiani dovrebbe interessare molto, non fosse altro che per i cospicui interessi economici che molto nostre imprese, a partire dalla Fiat, hanno nel Paese.

In parlamento, il Partito progressista serbo di Tomislav Nikolic ha conquistato la maggioranza relativa con 73 seggi su 250, seguito dal Partito democratico di Boris Tadic con 68. Il primo, come previsto, ha fatto proprio lo scontento dovuto alla crisi economica che ha invece punito la principale forza del governo uscente, il Partito democratico, ma non il Partito socialista del vice-premier Ivica Dacic che con 48 seggi ha raddoppiato i consensi del 2008 e il partner obbligato per qualunque futura credibile maggioranza di governo. Dal parlamento restano esclusi i gli ultranazionalisti “turboserbi” del Partito radicale serbo che, con il suo leader Vojislav Seselj, tutt'ora sotto processo per crimini di guerra all'Aja, non supera lo sbarramento del 5%. La rappresentanza parlamentare del nazionalismo anti-europeista resta dunque al solo Partito democratico serbo dell'ex premier Vojislav Kostunica che ha 20 deputati. Stessi rappresentanti per la coalizione “Preokret!” guidata dal Partito liberaldemocratico di Cedomir Jovanovic.

Nonostante la maggioranza parlamentare, la possibilità che i conservatori di Nikolic riescano a formare una coalizione di governo con il Partito socialista appare al momento assai debole. E' ragionevole invece pensare che il leader socialista Dacic prima di tutto avvii trattative con i democratici di Boris Tadic: sono stati bene in coalizione insieme per quattro anni al termine dei quali sono stati premiati nelle urne e non si vede perché, almeno in prima battuta, non dovrebbero proseguire l'esperienza. Tutto lascia immaginare che l'offerta non sarà però a buon mercato per il Partito democratico. Sul piatto c'è il sostegno a Tadic al secondo turno delle presidenziali contro Nikolic, in cambio della guida del nuovo governo a Dacic.

Già domenica sera, quando i risultati hanno cominciato a consolidarsi, Dacic aveva dichiarato che “non si sa ancora chi è il nuovo presidente serbo, ma si sa chi è il nuovo premier”, indicando in questo modo le sue intenzioni, ma anche suscitando il malumore di Tadic che, guardando al ballottaggio, aveva detto di “non essere disposto ad accettare ricatti”. In un'intervista pubblicata oggi dal quotidiano 'Blic', Dacic precisa però di non voler fare nessun ricatto, ma di “considerare logico che un membro della coalizione di governo abbia il presidente e l'altro il primo ministro”: il ricatto sarebbe al contrario “di quei partiti che chiedono per loro entrambe le cariche”, il che equivarrebbe “a sostenerli senza ottenere nulla in cambio”. Secondo Dacic, “è inaccettabile sostenere un candidato alla presidenza e parlare del governo solo dopo” perché “appoggiando un candidato noi corriamo un alto rischio, perché potrebbe perdere”.

La rielezione di Tadic sembra però abbastanza sicura: al piccolo vantaggio su Nikolic conquistato al primo turno dovrebbero aggiungersi i voti degli altri elettori europeisti e progressisti (quelli veri, non quelli di Nikolic). Tuttavia non si può mai dire: nel 2008 Nikolic vinse al primo turno e due settimane dopo, quando sembrava fatta, fu poi battuto di un soffio da Tadic. Forse per scaramanzia – o per fare pretattica – Tadic non si sente affatto sicuro e non fa mistero delle sue preoccupazioni nelle conversazioni private.

Intanto Dacic fa sapere che il governo che sosterrà dovrà avere due obiettivi: “La difesa degli interessi nazionali, ed in questo penso al Kosovo, e l'eurointegrazione”. Messaggio chiaro ai conservatori, che pur favorevoli all'adesione all'Ue, mantengono una posizione di netto rifiuto a qualunque ipotesi di riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo. Dacic spiega poi esplicitamente che i socialisti non potranno far parte “di un governo che mantenga posizioni estreme, quali la Repubblica Srpska (entità serba della Bosnia, ndr) costruita sul genocidio, o altre capaci di zavorrare le relazioni con l'Ue”. Parole molto chiare che confermano come il partito che fu di Slobodan Milosevic, con Dacic si sia lasciato definitivamente alle spalle quella pesante ed ingombrante eredità. E forse anche per questo domenica ha raddoppiato i consensi diventando così il terzo partito in Serbia. [RS]

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